Non posso dire quali valori ho, sono talmente in discussione continua con me stesso che posso solo dire quelli in cui credo e che determinano il mio modo di vedere e fare le cose.
E provo a farlo attraverso delle considerazioni e la condivisione di situazioni in cui mi sono veramente trovato in difficoltà, quando la realtà ha superato la mia immaginazione.
Il guru americano dei processi rivolti alla ricerca e al controllo della qualità, dopo oltre 40 anni dall’uscita del suo best seller Quality is free, e a 20 anni dalla fine della sua vita, ha ancora ragione da vendere.
La ricerca della qualità: questione di indole
Le affascinanti osservazioni di Crosby, per quanto relative ad un concetto abbastanza schematico, mi hanno aperto la mente, e sul campo ho avuto una conferma: l’idea di qualità parte da dentro. La spinta naturale alla ricerca della qualità o si ha o non si ha, non si compra al mercato.
E la prima qualità è quella delle persone e del rapporto che si instaura; le competenze vengono dopo, necessarie ma non sufficienti per raggiungere risultati importanti e duraturi quando si parla di collaborazione.
Spesso conosciamo il ruolo ma non i valori di chi abbiamo di fronte. I miei non so se siano valori oppure no, ma conosco i miei principi (inderogabili), quelli che ho appreso con l’educazione, lo studio e la vita di tutti i giorni e che applico al mio lavoro, mettendo sempre la passione in ciò che faccio.
Ho detto lavoro perché quando faccio le cose, qualsiasi ruolo abbia, non mi tiro indietro, anzi mi piace molto la manualità. Per fare un esempio, ho costruito gli stand in legno per molte esposizioni che ho organizzato, perché li volevo funzionali ed esteticamente tali da essere anch’essi un elemento di una bellezza coerente con i luoghi in cui dovevano essere montati. Trapano, martello e sudate insieme a tutti i ragazzi che mi aiutavano. E mi sono divertito moltissimo.
Cerco di evitare di parlare di professione perché ritengo non abbia senso fare distinzioni: siamo tutte persone normali, con pregi e difetti, nulla di più e nulla di meno. E quando ci dobbiamo fare una risata insieme, quella non guarda quanto abbiamo studiato. Senza scomodare i massimi sistemi del mondo, ‘A livella di Totò ci ha detto, con la semplicità più profonda, che non ha senso fare distinzioni e che si possono affrontare anche le questioni più serie con un sorriso.
In tema di qualità personali, non potrò mai dimenticare di come un Presidente della Repubblica riuscì a farmi risollevare il morale che avevo sotto i piedi, costretto a dire tanti no (convinti) a una quantità di (cosiddette) autorità che richiedevano biglietti omaggio per un concerto di beneficenza. Ecco, quello è stato il momento in cui ho visto con i miei occhi persone che avrebbero dovuto avere un comportamento esemplare, per il ruolo nella società, comportarsi in maniera inversamente proporzionale al loro status. Nello sconforto, fortunatamente mi arrivò la telefonata dalla segreteria del Quirinale perché il Presidente, che aveva onorato col suo Alto Patronato l’organizzazione della manifestazione, voleva pagare il biglietto di ingresso per Lui, la moglie e tutta la scorta. E così arrivò un assegno personale di un compianto grandissimo Uomo che, nel silenzio, contribuì alla raccolta fondi come una persona comune, dimostrando così di essere una persona fuori dal comune.
E come è innata la qualità umana, lo è anche la ricerca della qualità nel lavoro. E, solitamente, coesistono.
Spontaneità ed entusiasmo
Credendo fermamente nello spirito di collaborazione reciproca, nei rapporti non credo servano a nulla i retropensieri e le cose da nascondere, conviene guardare sempre il lato migliore di chi si ha di fronte. Pur sapendo che con alcune tipologie di persone questo preclude tante strade e rende vulnerabili, quello che dico lo penso e quello che penso lo dico, soprattutto se ritengo possa rappresentare un vantaggio per ciò che amo, i luoghi a cui sono legato e soprattutto le persone che mi circondano. Spontaneità e sincerità, prima di tutto, senza calcoli opportunistici.
Come quando, sulla scia dell’entusiasmo per aver organizzato un evento di promozione territoriale che ricevette un premio nazionale, mi sono ricordato di un film di Indiana Jones e ho ragionato su qualcosa che potesse contribuire a cambiare le sorti del paese in cui mi ero da poco trasferito, senza pensare lontanamente a tutelare la paternità dell’idea, nella fiducia incondizionata che portavo, e porto dentro di me sempre.
Convinto che ogni botta di adrenalina rimanga nella mente per sempre, e ricordando la famosa scena della lotta sul ponte sospeso in un profondo canyon, ho suggerito di unire le due montagne dietro casa mia con un ponte tibetano, “come quello del film di Indiana Jones” per far comprendere meglio al mio interlocutore di cosa parlavo. E poi mi piaceva pensare all’emozione che provavo di fronte ad una veduta insolita del centro storico e pensavo che chiunque avrebbe dovuto provare la stessa sensazione di bellezza. E così, certo che fosse un’opera unica nel suo genere (in parte sbagliando, perché in verità non sapevo che era da poco stato inaugurato un attrattore simile in Piemonte, ma lontano dal centro storico) e quanto quella unicità potesse rappresentare per il territorio, ho esternato con spontaneità la mia idea, il mio sogno di un futuro diverso.
Ho atteso invano e in silenzio tanti anni che mi venisse riconosciuta questa piccola intuizione. Chissà se lo sarà mai, ma grazie all’inguaribile parte ottimista che è dentro di me, a me piace pensare sempre che il lato migliore di ognuno di noi prima o poi venga fuori.
Tra l’altro, sarebbe stato giusto e bello raccontare che è stata una dinamica di comunità, un gioco di squadra, una triangolazione tra intuizione, conoscenza e concretezza.
Creatività per lanciare un’idea, conoscenza del modo giusto per realizzarla, e caparbietà e capacità di concretizzazione; sono tre caratteristiche che raramente coesistono tutte nella stessa persona. E così è stato, infatti, anche nel caso del primo ponte tibetano a ridosso di un centro storico.
Ecco, il parlarne solo dopo diversi anni, trascorsi sempre nella speranza che lo avesse fatto chi avrebbe potuto sentire il dovere di farlo, mi fa dire con ancor più convinzione che le medaglie sono quelle che abbiamo dentro, quando ci guardiamo allo specchio.
Per un certo lungo periodo ho immaginato e anche condiviso il possibile motivo di questa dinamica ma poi, col passere del tempo, non ho più compreso cosa potesse esserci dietro certi silenzi. Dopo troppo tempo, mi tocca questa antipatica parte di chi è costretto a chiarire le cose, non fosse altro che per una questione di verità.
Oggi è talmente tanta la felicità di vedere quanto un sogno possa contribuire allo sviluppo di un territorio, che offusca il rammarico che quell’idea sia stata slegata da un piano di destinazione turistica che, quasi 15 anni fa, avrebbe potuto rappresentare un ulteriore unicum in un panorama culturale in cui di “destinazione” se ne parlava esclusivamente in contesti turisticamente avanzati e pienamente affermati.
Ed ecco un altro valore in cui credo: la capacità di gioire di fronte alle cose belle, sempre e comunque.
Evviva la Cina e internet!
Credo di conoscere la differenza tra determinazione e testardaggine ma mi piacerebbe comprendere meglio chi è portatore di una o dell’altra. Iniziando da me. Ognuno di noi, ovviamente, ritiene di essere determinato e non testardo, ma a prescindere da come si voglia definire, il portare avanti con caparbietà una propria idea è una scommessa dall’esito ignoto.
Come quando, incaricato della stesura della strategia e della scrittura della relazione tecnica per il bando di gara per l’organizzazione della Borsa Internazionale del Turismo Termale del 2003 ho portato avanti la mia tesi di puntare sulla presenza di una delegazione cinese e sull’utilizzo della rete per promuovere e gestire la manifestazione.
Rischiai che mi fosse revocato l’incarico perché lo studio dei flussi (che allora erano del tutto insignificanti) mi dava assolutamente torto e avevo dalla mia solo tanti ragionamenti e il fatto che l’Unione Europea aveva appena sottoscritto un’intesa con l’Ente per il Turismo Cinese. Tenni ferma la convinzione di dover osare perché la gara era molto importante e dura e bisognava andare fuori dagli schemi e guardare oltre i dati statistici.
E puntai i piedi anche sulla realizzazione del sito internet e sulla predisposizione di schede di partecipazione telematiche che sorpresero anche tanti operatori esteri ancora legati ai fax. Finì che vincemmo la gara da oltre 500mila euro e tantissime operazioni organizzative le facemmo online.
Di quel periodo, ancor più della soddisfazione professionale, mi resta il ricordo indimenticabile delle giornate di duro lavoro con un caro amico per la realizzazione del sito internet e il rapporto con tutte le persone con le quali ho vissuto quel periodo. Sono fatto così: le emozioni mi restano addosso.
Creare emozioni
Vivere di emozioni (e andarne alla ricerca) ritengo sia un altro valore che ognuno di noi dovrebbe coltivare dentro di sé. Declinate al turismo, puntare a valorizzarle è senza dubbio la migliore strategia in termini di accoglienza.
Inoltre, per quello che qui interessa, è utile comprenderne l’importanza per allinearsi alle nuove (neanche tanto) convinzioni anche in tema di marketing, in generale.
60 anni fa acquistavamo qualsiasi cosa ci proponesse un bravo venditore perché, avendo poco, ci serviva di tutto; acquistavamo per necessità. 20 anni fa acquistavamo con più consapevolezza quel poco che non avevamo ancora, per soddisfare un bisogno un po’ più particolare. Oggi che abbiamo qualsiasi cosa, acquistiamo quasi esclusivamente emozioni. Anche quando andiamo a mangiare fuori, ormai lo facciamo per vivere un’esperienza, non per nutrirci.
Per questo, ricercando una nuova idea o ragionando sul cosa fare, la prima domanda che mi pongo è: come possiamo creare emozioni?
Qualunque sia la risposta, oltre ad un’idea vincente che emozioni, c’è un altro fattore che gioca un ruolo molto importante nella costruzione di una percezione positiva: la cura dei particolari.
L’attenzione ai particolari
Facciamo subito un esempio concreto. In foto la soluzione espositiva adottata già venti anni fa, con le bandiere di tutti i paesi ad abbassare e dare colore al punto di vistadel visitatore ed evitare che lo sguardo vada verso l’alto sull’insignificante tetto della tensostruttura.
L’esempio della sistemazione di quelle bandiere, accorgimento espositivo ormai utilizzato un po’ dappertutto, è l’occasione per sottolineare uno dei principi che ispirano ogni mio lavoro.
Sinceramente sono una persona disordinata, ma quando lavoro divento “tedesco”, al limite dell’antipatia (anzi, divento antipatico, molto antipatico a chi fa le cose senza voglia) perché tengo molto alla cura dei particolari. Grazie a docenti illuminati, al tempo della mia specializzazione in Marketing del turismo, ho studiato, approfondito e messo sempre in atto il meccanismo della qualità percepita. Questo concetto, per chi equivocasse, non è l’esaltazione dell’apparenza ma tutt’altra cosa che attiene alle attese del cliente e alla capacità di offrire un servizio che vada a soddisfarle o, addirittura, oltre quelle attese. Da qui l’importanza dei particolari che conferiscono quel quid in più che fa la differenza. Ma di questo se ne parla approfonditamente negli incontri sulla destinazione turistica e sull’organizzazione di eventi.
Affiancamento e rispetto
Ultimo, ma solo in ordine di esposizione, c’è un altro concetto a cui tengo moltissimo. E’ il concetto di affiancamento, quella naturale predisposizione a collaborare, a fare le cose insieme per un obiettivo comune e per creare vantaggi il più possibile diffusi.
Da questo deriva la mia grande apertura alle idee altrui, da non confondere con la falsa benevolenza per entrare in un’altrettanta falsa sintonia. Al contrario, è proprio il rispetto di chi si ha di fronte che porta, in coscienza, a dire dei no, a volte anche decisi, ma sempre motivandoli. E così direi (e ho detto) no ad un’azione di sviluppo territoriale il cui scopo, evidente o malcelato, sia (o sia stato) quello di portare vantaggi a pochi. E ne ho detti tanti di “no, grazie, arrivederci, i miei principi non sono in vendita”. Certi no costano tanto sotto certi punti di vista, ma arricchiscono sempre sotto altri aspetti, sicuramente in dignità.
Collaborazione, correttezza e rispetto reciproco sono alla base del rapporto che intendo instaurare. Senza uno solo di questi sono pronto a dire no all’infinito, oltre ai tanti che ho già detto, qualunque sia il prezzo da pagare.
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