L’idea del Ponte alla Luna: un sogno lungo 300 metri
L’energia della comunità e l’idea del primo ponte tibetano a ridosso di un centro storico a 20 metri da casa, a Sasso di Castalda
C’era nell’aria un grande entusiasmo. Insieme al sindaco del tempo, ero di rientro a casa da Rimini, dove avevamo ritirato un premio nazionale quale migliore accoglienza in un borgo italiano, a seguito dell’organizzazione di un raduno nazionale di camper, alla presenza di diversi presidenti regionali e del Presidente italiano della Federcampeggio, per la prima volta in assoluto in Basilicata.
Un anno e mezzo dopo sarebbe arrivata anche la Medaglia di Rappresentanza del Presidente della Repubblica per la manifestazione Fiera del Borgo Antico, appuntamento di promozione del territorio.
Il raduno, a cui presero parte circa 80 equipaggi provenienti da tutta Italia, fu organizzato con la Federazione regionale lucana, guidata da un presidente eccezionale, dalle doti organizzative e umane fuori dal comune. Le doti umane fanno sempre la differenza. Tra gli altri, alla premiazione di Rimini c’era il Presidente della Federazione Internazionale dei Campeggiatori e Camperisti.
Molto più di quel riconoscimento e delle importanti relazioni, furono i sacrifici nell’interesse collettivo fatti insieme agli operatori turistici locali, che accettarono anch’essi di prestare servizi a costi realmente irrisori (e non finirò mai di ringraziarli), che crearono i presupposti affinché tutte le energie, iniziando proprio dai pensieri, fossero rivolte a fare di più per dare un seguito a tutto quel lavoro.
E il caso volle che proprio in quei giorni, al rientro da Rimini, si palesò in tv Indiana Jones e il tempio maledetto , film visto diverse volte ma, quella volta, guardato con uno spirito diverso. La scena del ponte tibetano, carica di adrenalina e suspense, la traslai mentalmente dietro casa e mi fece sorgere subito una domanda: esiste un ponte tibetano a ridosso di un centro storico? Perché venne in mente questa domanda e quale fu il meccanismo mentale adoperato possono essere chiari qui. Probabilmente, mi posi la giusta domanda.
La visione del primo ponte tibetano a ridosso di un centro storico
Tornando alla massima di Erasmo da Rotterdam, tralasciando la follia, che può essere declinata e interpretata in tanti modi, certamente serve una visione di quello che potrebbe essere. Tutto nasce da un’idea. E più le idee guardano lontano, più incidono sulla realtà.
La convinzione sin da subito fu quella che, oltre a rappresentare un’attrazione adrenalinica (e su questo non potevano esserci dubbi), la differenza sostanziale con strutture già esistenti sarebbe stato il suo posizionamento, grazie al quale il visitatore avrebbe avuto la possibilità di ammirare la parte più antica e caratteristica del centro storico, scorcio che da camminatore appassionato avevo avuto occasione di ammirare tante volte. Ma da un ponte tibetano, sospesi nel vuoto, il carico di adrenalina avrebbe reso la vista ancor più emozionante, per una sensazione indelebile.
L’essere umano non ricorda ciò che ha visto ma la sensazione che ha vissuto di fronte a ciò che ha visto.
Infine, ulteriore considerazione, attrazioni similari (ma lontane dai centri storici) o comunque adrenaliniche e panoramiche, in quegli anni, erano solo dalle alpi in su. Ulteriore grande vantaggio che non era “la follia” a considerarlo, ma la conoscenza, lo studio e il ragionamento. Indiana Jones ha fatto il resto… perché anche un pizzico di casualità ci mette sempre lo zampino.
Un ponte tibetano tanto lungo a ridosso di un centro storico: un’idea irrealizzabile per qualcuno, per altri inutile spreco di risorse perchè non avrebbe suscitato interesse…
Conviene sempre pensare in grande Pensando in piccolo si hanno sempre e solo risultati minimi
Un risultato collettivo e l’anima del luogo
Lanciata l’idea, il grosso è stato un lavoro di squadra dove i meriti più decisivi li hanno avuti coloro che, con convinzione e risolutezza, sono stati capaci di compiere tutti i complessi passi per realizzare l’opera. Per un’analisi complessiva non bisogna dimenticare cose c’era dietro quell’intuizione: la storia del territorio e le caratteristiche ideali affinché qualcosa del genere potesse avere successo.
Dietro quell’idea ci sono le tradizioni, la natura incontaminata e ben manutenuta, un centro storico tramandato e custodito negli anni, la forza ideale dei personaggi illustri originari del luogo, le speranze e l’impegno di persone che, con i fatti, hanno amato e amano questa terra, senza se e senza ma. Si potrebbe dire “quel luogo ha un’anima”.
Altro passaggio fondamentale fu l’assegnazione dell’affascinante denominazione (Ponte alla Luna) che richiama la storica impresa del 1969, nella quale Rocco Petrone, americano di genitori sassesi emigrati, ricoprì il ruolo di direttore di lancio alla Nasa.
Quando la comunità è come l’immagine qui sopra, senza volti, senza personalismi, senza interessi personali che calpestano quelli collettivi, in armonia nonostante i tanti colori diversi, le diverse esperienze, idee e personalità, solo allora si raggiungono risultati importanti e duraturi.
La genesi del ponte tibetano di Sasso di Castalda è una magnifica storia collettiva.
Un’idea nata nella comunità, realizzata dallacomunità per la comunità, grazie alle energie che si sono evolute nel tempo all’interno della comunità.
E la follia?
Quindi, per riprendere Erasmo, l’idea di collegare due montagne a ridosso di un centro storico con un ponte tibetano è nata dalla follia?
In tempi ben più recenti dei suoi, la frase più celebre al riguardo è stata quella di Steve jobs, che lasciò il suo testamento morale con il famoso “Stay Hungry, stay foolish”. Il motto invitava ad essere sempre affamati di conoscenza, di novità e avere quel pizzico di visionarietà che può rendere potente un’idea soprattutto quando risulta unica e potenzialmente grande. Quanto poi risulti vincente o meno, lo può dire solo il tempo. Un processo creativo che, quando è accompagnato anche da conoscenze e tecniche, permette, ad esempio, a un piccolo sito come questo di oscillare in Google tra il 1° e 2° posto tra oltre 15/20 milioni di risultati relativi al “turismo di comunità”, a “come fare turismo” e “costruire una destinazione turistica”. E qui la follia non sembra avere ruoli.
Che sia un territorio o qualsiasi attività, il processo creativo deve essere continuo. Al contrario, se tutto va bene si resta fermi dove si è, oppure si torna indietro.
Follia o capacità di sognare?
Per concludere, visione, conoscenzaed esperienza (si impara molto anche dai fallimenti) quando camminano a braccetto possono dare vita a grandi realizzazioni. Se poi le visioni più lungimiranti siano dovute o a sana follia o alla capacità di sognare a occhi aperti, ognuno avrà la sua opinione, ma questo ha poca importanza.
Quello che accade spesso nella realtà è che alcune idee o vengono analizzate superficialmente, o restano su qualche foglio gettate in un cassetto, per poi essere recuperate in ritardo o con poca convinzione, o non vengono neanche considerate.
Ecco la vera, imperdonabile follia: non fermarsi a pensare e non analizzare fino in fondo le idee.
Le energie e le idee provenienti dalla comunità sono una ricchezza per il territorio
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